UNA NOTTE IN INCOGNITO ALLA LOCANDA
Una
recensione atipica de “Il Nome del Vento” di Patrick Rothfuss
Procedo
alla cieca lungo il sentiero.
Nei dintorni non
sembrano esserci segni di vita.
Ma ad un tratto la
vedo: una luce soffusa in lontananza.
Mi dirigo in fretta
verso l'unica ancora a cui aggrapparmi, la mia unica speranza per il
momento: sono ghiacciata, mi sono persa, non ricordo come sono
arrivata qui.
Sembra provenire da una
locanda. Mi avvicino sempre più, fino a che non riesco a scorgere
l'insegna: “La Locanda della Pietra Miliare”.
Il silenzio è il più
intenso e rumoroso che abbia mai sentito.
Un silenzio in tre
parti.
Era profondo e vasto
come la fine dell'autunno. Era pesante come una grossa pietra
levigata dal fiume. Era il paziente suono di fiori recisi, di un uomo
che sta aspettando di morire.
I vetri sono appannati,
ma si riescono a scorgere tre sagome all'interno:
un uomo intento a
scrivere avidamente e senza sosta, un ragazzo scuro e
attraente, con un sorriso vivace e occhi scaltri, che ascolta a
bocca aperta le parole di un terzo uomo, che pare stia raccontando
una storia:
“Ma immagino che
il vero inizio della storia sia ciò che mi condusse all'Accademia.
Fuochi inattesi al crepuscolo. I Chandrian. Un uomo con occhi come
ghiaccio sul fondo di un pozzo. L'odore di
sangue e capelli
bruciati.»
[...]
“Ho girovagato, amato, perso, ho avuto fortuna e sono stato
tradito” […]
Quest'ultimo ha un
aspetto spento, non proprio malato ma vuoto. Come una pianta che è
stata trapiantata in un tipo di terreno sbagliato ed ha cominciato ad
avvizzire. I capelli fiammeggianti sono la prima cosa che salta
all'occhio, visibili anche attraverso un vetro appannato.
Dal modo in cui si
muove nella stanza capisco che è lui il proprietario della locanda,
il locandiere.
Il suo nome è Kote,
il ragazzo dall'aspetto inumano che lo guarda con curiosità,
invece, è Bast, il suo apprendista, mentre l'uomo intento a
scrivere si fa chiamare Cronista,
ed è uno scriba.
L'insolito racconto
continua, intervallato qua e là da frasi dal sapore magico, poetiche
ed eleganti:
“Strano vedere un
mortal avvampare
e affievolirsi al
passar d'ogni giorno
fiamma ardente dal
lieve guizzare
e basta il vento a
levarla di torno
se le potessi
prestar il mio fuoco
a ravvivarla io
riuscirei un poco.”
Non me la sento di
disturbare un momento così speciale.
So che lo è, perché
avverto l'intensità, la sofferenza e la nostalgia con la quale
l'uomo racconta: sembra quasi stia condividendo un pezzo della sua
anima.
“Ecco perché
queste storie ci piacciono. Ci danno la chiarezza e la semplicità
che manca alle nostre vite”.
Potrei benissimo
voltarmi e tornare indietro, ma le sue parole mi hanno intrappolata
in un vortice... voglio ascoltare, conoscere ogni minimo dettaglio,
non perdermi nemmeno una parola, godermi a pieno ogni pausa
silenziosa.
La
curiosità mi ha invasa. Chi è costui? Come fa a conoscere a
menadito ogni singolo episodio della vita del leggendario Kvote, famoso e famigerato in tutto il Regno?
Il mistero è presto
svelato: la storia si spiega da sé.
«Sono un mito. Un
genere molto particolare di mito che crea sé stesso.
Le migliori menzogne
su di me sono quelle che io ho raccontato.»
Ad un tratto mi sento
in colpa: cosa succederebbe se venissi scoperta ad origliare? Quella
che si sta raccontando nella Locanda è una storia mai udita,
segreta. Io non dovrei assolutamente esserne al corrente.
Nessuno sembra essersi
accorto di niente, eppure... ho la sensazione che Kote sappia della
mia presenza...
“La paura
scaturisce spesso dall'ignoranza. Una volta compreso, rimane solo il
problema, niente di cui aver paura.”
Ed
ecco arrivato il momento che aspettavo, il momento in cui entra in
scena l'amore: a complicargli la vita, a solcare ancor più il suo
corpo già fin troppo invaso dalle ferite che l'hanno costretto a
crescere prima del tempo.
Sarebbe bello dire
che i nostri occhi si incontrarono e io mi strinsi al suo fianco.
Sarebbe bello dire che dopo averle baciato la mano, parlai di
argomenti piacevoli in distici in rima. Come il Principe
Valoroso di qualche
favola. Sfortunatamente, la vita di rado segue un copione pianificato
con attenzione.
Affascinante,
innocente, perfida, astuta, enigmatica ed incomprensibile.
Sono
questi i tratti predominanti della donna che gli farà perdere la
testa.
“Non importa dove
fosse, lei era al centro della stanza.» Kvothe si accigliò. «Non
fraintendete. Non era chiassosa, o vanitosa. Fissiamo il fuoco perché
guizza, perché riluce. La luce è ciò che attira i nostri occhi, ma
ciò che fa accostare un uomo al fuoco non ha nulla a che vedere con
la sua forma lucente. Ciò che ti attira verso il fuoco è il calore
che senti quando ti avvicini.”
Mentre Kvothe
parlava, la sua espressione si faceva distorta, come se ogni parola
che pronunciava lo facesse soffrire sempre più. E se pure le parole
erano nitide, corrispondevano alla sua espressione, come se ognuna di
esse fosse raschiata con una ruvida lima prima di lasciare la sua
bocca.
Non
ho mai reagito in modo così intenso ad una storia: piango, rido,
soffro col protagonista. Mi sembra di essere accanto a lui, a parlare
del più e del meno, a vivere avventure inaspettate, estenuanti ed
inimmaginabili.
E'
giunta la notte: il buio si è fatto ancora più intenso, e Kote ha
la voce rauca. Improvvisamente si ferma. A quanto pare ha deciso di
fermarsi per andare a riposare. Dopotutto, ha ancora due giorni di
tempo per terminare il racconto.
Ora
so. So troppo.
E'
arrivato il momento di andarmene: ma domani tornerò... il bello
della storia non è ancora arrivato.
L'eco
di una voce mi arriva alle orecchie. Sono convinta che è Kvote a parlare:
“Ci rivedremo dove
le strade si incontrano”
Voi, FORTUNATAMENTE,
POTETE PRENDERVELA COMODA: NON VI SERVIRA' SPIARE IL LOCANDIERE E
GHIACCIARVI PER SENTIRE TUTTA LA STORIA.
VI BASTERA' RECARVI
IN LIBRERIA E COMPRARE “IL NOME DEL VENTO”DI PATRICK ROTHFUSS,
PRIMO LIBRO DI UNA TRILOGIA RICCA, COINVOLGENTE ED APPASSIONANTE.
DOPODICHE' STA A VOI LA SCELTA: IMBACCUCCARVI SOTTO LE
COPERTE, ACCIAMBELLARVI SULLA VOSTRA POLTRONA PREFERITA AL CALDUCCIO,
SDRAIARVI SUL TAPPETO PIU' MORBIDO E CONFORTEVOLE CHE AVETE IN
CASA...
“Il mio nome è Kvothe, che si pronuncia quasi come 'Quote'. I nomi sono importanti, dato che dicono molto a proposito di una persona. Ho avuto più nomi di quanti ognuno avrebbe diritto. Gli Adem mi chiamano Maedre. Che, a seconda di come viene detto, può voler dire La Fiamma, Il Tuono, o L'Albero Spezzato. 'La Fiamma' è ovvio per chiunque mi abbia mai visto. I miei capelli sono di un rosso vivido. Se fossi nato un paio di centinaia d'anni fa, probabilmente sarei stato bruciato come demone. Li tengo corti, ma sono ribelli. Se lasciati a sé stessi, rimangono ritti e sembra che stia andando a fuoco. 'Il Tuono' lo attribuisco a un forte timbro baritonale e a un lungo addestramento teatrale in tenera età. Non ho mai pensato che 'L'Albero Spezzato' avesse un vero significato. Sebbene a posteriori suppongo che possa essere considerato quantomeno parzialmente profetico”.
Il punto forte della storia sono proprio i personaggi. Tutti hanno una personalità ben tratteggiata e un'aurea di mistero che li circonda. Le personalità dei character principali sono strutturate alla perfezione. E' inevitabile, come lettori, identificarsi in parte dei loro tratti, oppure discostarsene del tutto.
Oltre a Kvote e Denna, un personaggio secondario che mi incuriosisce, e che ho la sensazione ci riserverà tante sorprese nel terzo libro, è Auri. Una gracile e timida ragazza che vive sola nei sotterranei dell'Accademia. Conosce a menadito ogni passaggio segreto che si nasconde là sotto, porta con sè l'innocenza propria dei bambini e non ama parlare di sè e del proprio passato. Sarà Kvote ad avvicinarla a sè, incuriosito dalla sua fuggevolezza. Complice la curiosità di Auri, attratta dall'ombra oscura e malinconica che circonda il protagonista, tra i due si instaurerà un rapporto molto particolare.
Udii un fruscio
dalle siepi in basso e vidi Auri sgambettare su per
l'albero come uno
scoiattolo. Corse attorno al bordo del tetto, poi si
tirò su a poche
dozzine di piedi di distanza.
Nella mia migliore
ipotesi, Auri aveva solo qualche anno più di
me, di certo non più
di venti. Indossava abiti sbrindellati che le
lasciavano nude
braccia e gambe, era più bassa di me di quasi un piede ed era magra.
In parte, questo era dovuto alla sua ossatura leggera, ma c'era di
più. Le sue guance erano scavate e le sue braccia nude erano scarne
come quelle di un trovatello. I suoi lunghi capelli erano così fini che
la seguivano fluttuando nell'aria come una nuvola.
Nel corso degli
ultimi giorni, aveva anche iniziato a parlare. Mi aspettavo che fosse
ostile e sospettosa, ma nulla poteva essere più distante dal vero.
[...] Scelsi io un
nome per lei, Auri.
Locandieri segnati dal tempo, demoni, musica, vita nomade, arcanisti, magia, accademie, amore, donne, povertà, miseria, pazzia, pericolo, morte, intrighi, biblioteche immense, draghi vegetariani+tossicodipendenti XD, momenti di umorismo, inganni, pregiudizi, astuzie, amicizia, morti misteriose, nemici oscuri... OGNI SCUSA E' BUONA, OGNI MILLESIMO DI SECONDO DEL VOSTRO TEMPO E' FONDAMENTALE PER LEGGERLO, PERCHE', UNA VOLTA ENTRATI NELLA STORIA, I PERSONAGGI PRINCIPALI DIVENTERANNO I VOSTRI MIGLIORI AMICI, O I VOSTRI PEGGIORI NEMICI, E L'ECO DELLA VOCE DI KVOTE NON VI USCIRA' PIU' DALLA TESTA
LA
LOCANDA DOVE TUTTO HA INIZIO
E' qui che tutto ha inizio:
Una locanda vuota, dal silenzio sospetto e dal nome sinistro.
“Era
di nuovo notte. La locanda della Pietra Miliare era in silenzio, e si
trattava di un silenzio in tre parti.
La parte più ovvia
era una quiete vuota, riecheggiante, formata da cose che mancavano.
Se ci fosse stato del vento, avrebbe spirato attraverso gli alberi,
fatto scricchiolare l'insegna della locanda sui suoi cardini e
spazzato via il silenzio lungo la strada come vorticanti foglie
autunnali. Se ci fosse stata una folla o anche solo un gruppetto di
avventori, questi l'avrebbero riempito con conversazioni e risa, il
fracasso e gli schiamazzi che ci si aspetta da una taverna nelle buie
ore notturne. Se ci fosse stata musica... ma no, ovviamente non c'era
alcuna musica. In realtà non c'era nulla di tutto ciò, perciò
rimaneva il silenzio.
All'interno della
Pietra Miliare alcuni uomini erano radunati a un angolo del bancone.
Bevevano con calma determinazione, evitando serie discussioni di
notizie preoccupanti. Nel fare ciò essi aggiungevano un piccolo,
cupo silenzio a quello vuoto più grande. Formava una sorta di lega,
un contrappunto.
Il terzo silenzio
non era facile da notare. Se foste rimasti in ascolto per un'ora,
avreste potuto cominciare a sentirlo nel pavimento di legno sotto i
piedi e nei ruvidi barili scheggiati dietro il bancone. Era nel peso
del focolare di pietra nera che tratteneva il calore di un fuoco
spento da molto. Era nel lento andirivieni di un bianco panno di lino
che sfregava le venature del bancone. Ed era nelle mani dell'uomo che
se ne stava lì in piedi a pulire un tratto di mogano che
già
risplendeva alla luce delle lampade. L'uomo aveva capelli di color
rosso vivo, come fiamma. I suoi occhi erano scuri e distanti, e lui
si muoveva con la sottile certezza che proviene dal conoscere molte
cose.
La Pietra Miliare
era sua, proprio come il terzo silenzio. Era appropriato, dato che
fra i tre era il silenzio più grande, che avvolgeva gli altri dentro
di sé. Era profondo e vasto come la fine dell'autunno. Era pesante
come una grossa pietra levigata dal fiume. Era il paziente suono di
fiori recisi, di un uomo che sta aspettando di morire.”
“Ore più tardi,
il locandiere se ne stava sulla soglia della Pietra Miliare e
lasciava che i suoi occhi si rilassassero nell'oscurità. Orme di
luce delle lampade proveniente dall'interno della locanda si
stendevano attraverso la strada sterrata e le porte della fucina
dall'altro lato. Non era una strada larga, o molto battuta. Non
sembrava condurre da nessuna parte, come accade certe volte ad alcune
strade. Il locandiere trasse un profondo respiro d'aria autunnale e
si guardò intorno irrequieto, come aspettando che accadesse
qualcosa”.
“In dieci minuti
la locanda era un posto diverso. Le monete tintinnavano sul bancone.
Formaggio e frutta vennero messi su vassoi e una grossa pentola di
rame venne messa sul fuoco in cucina. Gli uomini spostarono tavoli e
sedie per adattarli meglio al loro gruppo di quasi una dozzina di
persone. La cosa migliore era il rumore. Cuoio che scricchiolava.
Uomini che ridevano. Il fuoco guizzava e crepitava. Le donne
civettavano. Qualcuno rovesciò perfino una sedia. Per la prima volta
dopo lungo tempo non c'era silenzio nella locanda. Se c'era, era
troppo flebile
per essere notato,
oppure ben nascosto.
Kote era nel mezzo
di tutto questo, sempre in movimento, come un uomo che bada a un
grande, complesso macchinario. Pronto a portare da bere appena una
persona lo chiedeva, parlava e ascoltava nella giusta misura. Rideva
alle battute, stringeva mani, sorrideva e faceva sparire le monete
dal bancone come se avesse veramente avuto bisogno del denaro”.
articolo scritto per la rivista "Notizie dalla Terra di Altrove"